La cosiddetta esperienza cosmica vissuta da un occidentale e un orientale.
Così la definisce lo psichiatra canadese dottor R. M. Buckle, menzionato da William James nella sua famosa opera (Le varietà dell’esperienza religiosa): “Ciò che primariamente caratterizza la coscienza cosmica è una coscienza del cosmo, ossia della vita e dell’ordine dell’universo. In una con la coscienza del cosmo ha luogo un’illuminazione intellettuale che già di per sé è tale da trasferire l’individuo su un nuovo piano di esistenza, quasi lo trasforma nel membro di una nuova specie. Vi si aggiunge uno stato di esaltazione morale, un indescrivibile senso di elevazione, di esaltazione, e di gioia, e un risveglio del senso morale, che è non meno evidente, e ancor più importante, di quanto non lo sia un accresciuto potere intellettuale. Con tutto ciò vengono ad accompagnarsi quelli che possiamo definire un senso di immortalità, una coscienza della vita eterna, non convinzione di poterla conseguire un giorno, ma consapevolezza di averla già” .
Il dottor Buckle fu indotto a studiare l’esperienza cosmica negli altri soggetti da un’esperienza di quel genere avuta in prima persona. Così la descrive: “Avevo trascorso la serata in una grande città insieme a due amici, leggendo assieme e discutendo testi di poesia e filosofia. Ci lasciammo a mezzanotte. Per recarmi al mio alloggio dovevo fare un lungo tragitto in hansom [carrozzella a due ruote, con la serpa del cocchiere a tergo]. La mia mente, sotto l’influenza di idee, immagini ed emozioni suscitate da quella lettura e conversazione, la mia mente ora godeva un senso di calma e di pace. Ero immerso in un piacevole stato quieto quasi passivo, senza realmente pensare, ma lasciando che le emozioni, le idee, le immagini scorressero, per così dire, da sé attraverso la mia mente.
“Di punto in bianco, senza preavviso di alcuna sorta, mi trovai avvolto in una nuvola di color fiamma. Per un istante pensai che un incendio, un’immensa conflagrazione fosse scoppiata in un qualche punto molto vicino di quella grande città; ma poi mi resi conto che l’incendio era dentro di me. Subito dopo avvertii un senso di esultanza, di immensa gioia accompagnata o immediatamente seguita da un’illuminazione intellettuale impossibile a descriversi.
“Fra l’altro io non tanto venni a credere, quanto piuttosto a vedere, che l’universo non è costituito di materia morta, ma è, all’opposto, una Presenza viva; divenni consapevole della vita eterna. Non era una convinzione che avrei avuto la vita eterna in seguito, ma il sentimento che già la possedevo. Vidi che tutti gli uomini sono immortali; che l’ordine cosmico è tale che senza alcun dubbio tutte le cose operano insieme per il bene di ciascuna e del tutto; che il principio fondante del mondo, di tutti i mondi, è quello che chiamiamo amore, e che la felicità di ciascuno e di tutti è, a lungo termine, raggiungibile con assoluta certezza.
“La visione è durata per un po’ di secondi e poi è svanita; ma la memoria di essa e il senso della realtà di ciò che essa mi ha insegnato è rimasto intatto in me per il quarto di secolo che è passato da allora. Ho appreso che quel che la visione mi mostrava era ben vero. Ero pervenuto ad un punto di osservazione, dal quale vedevo che ciò deve essere vero. Quella visione, quella convinzione, posso dire quella coscienza non è mai venuta meno pur attraverso periodi in cui sono stato profondamente depresso”.
Quanto a noi, certo non tutti, ma solo pochissimi hanno avuto un’esperienza di tal genere. Questo non toglie affatto che molti di noi, nella misura del personale impegno e della capacità recettiva di ciascuno, possano in qualche modo rivivere l’esperienza cosmica attraverso un tentativo di visualizzazione interiore. Il medesimo potrà dirsi di altri tipi di esperienza spirituale che mi accingo a passare in rassegna.
Paramahamsa Yogananda racconta un tipo di esperienza cosmica leggermente diverso. Si tratta di un’esperienza sollecitata da un precisa intervento del maestro Sri Yukteswar, il quale si avvicina a Yogananda, in quel tempo giovanissimo, e lo tocca lievemente al petto, sopra il cuore.
A quel punto, racconta Yogananda, “il mio corpo divenne immobile e come radicato al suolo. Non respiravo più, come se un immenso magnete avesse ritirato l’aria dai miei polmoni. Anima e mente perdettero all’istante i loro vincoli fisici e uscirono come un’ondata di fluida e penetrantissima luce da ogni mio poro. La carne era come morta, eppure nella mia intensa consapevolezza sentivo che mai, prima d’allora, ero stato pienamente vivo. Il mio senso d’identità non era più limitato da un corpo, ma abbracciava tutti gli atomi circostanti. La gente in strade lontane sembrava si muovesse dolcemente nella mia remota periferia. Le radici delle piante e degli alberi mi apparivano attraverso un’opaca trasparenza del suolo; distinguevo il fluire della loro linfa.
“Tutto quello che mi era vicino era nudo davanti a me. La mia abituale visione frontale s’era mutata in un’ampia vista sferica che percepiva tutto simultaneamente. Attraverso la parte posteriore della mia testa, vedevo le persone camminare lontano sulla via Rai Ghat e mi accorsi anche di una mucca bianca che si avvicinava lentamente; quando giunse sullo spiazzo dinanzi al cancello aperto dell’ ashram, la osservai come con i miei occhi fisici. Quando passò dietro il muro di mattoni del cortile, la vidi ancora con perfetta chiarezza.
“Tutti gli oggetti nel raggio della mia visuale panoramica tremolavano e vibravano come figure sullo schermo. il mio corpo, quello del Maestro, il cortile dai pilastri, i mobili e il pavimento, gli alberi e i raggi del sole a volte si agitavano con violenza sino a che tutto si fondeva in un mare luminoso, come cristalli di zucchero messi in un bicchiere d’acqua si sciolgono dopo essere stati agitati. La luce unificatrice si alternava con le materializzazioni delle forme, e le metamorfosi rivelavano la legge di causa ed effetto presente nella creazione.
“Un’oceanica gioia scoppiò sulle rive calme e infinite dell’anima mia. Realizzai che lo Spirito di Dio è inesauribile Beatitudine. Il Suo corpo è fatto di innumerevoli tessuti di luce. Una luce gloriosa che si espandeva sempre più dentro di me cominciò ad avviluppare città, continenti, la terra, i sistemi solari e stellari, le tenui nebulose e i fluttuanti universi. L’intero cosmo dolcemente luminoso, simile a una città che si scorga lontana nella notte, scintillava nell’infinità del mio essere. L’abbagliante luce al di là dei profili sferici acutamente incisi si attenuava un poco agli estremi limiti, dove potevo scorgere una morbida radiazione che non diminuiva mai. Essa era indescrivibilmente sottile; i quadri planetari erano formati da una luce più densa. “La divina diffusione di raggi scaturiva da un’Eterna Sorgente che fiammeggiava in galassie, trasfigurate da aure ineffabili. Incessantemente vedevo i raggi creatori condensarsi in costellazioni e poi risolversi in lembi di trasparente fiamma; con ritmica inversione, miriadi di mondi si tramutavano in diafana luminescenza; poi il fuoco divenne firmamento.
“Conobbi il centro dell’empireo quale punto di percezione intuitiva nel mio cuore.
Uno splendore irradiante sorgeva dal mio nucleo e si distendeva su ogni parte della struttura universale. La divina amrita, nettare dell’immortalità, pulsava attraverso di me con una fluidità d’argento vivo. Udii la Voce creativa di Dio risuonare come Om, la vibrazione del Motore Cosmico.
“A un tratto l’aria ritornò nei miei polmoni e respirai di nuovo. Con una delusione quasi insostenibile, capii di aver perduto la mia immensità infinita. Di nuovo ero costretto nella umiliante gabbia di un corpo, che difficilmente si adatta allo Spirito. Come un figliol prodigo ero sfuggito dalla mia casa macrocosmica e avevo imprigionato me stesso in uno stretto e meschino microcosmo.
“Il mio Guru era immobile dinanzi a me. Stavo per prostrarmi ai suoi sacri piedi, pieno di gratitudine per quell’esperienza di coscienza cosmica così a lungo e appassionatamente cercata. Egli me lo impedì e parlò con calma e semplicità: ‘Non devi troppo inebriarti d’estasi. Molto lavoro ti resta ancora da fare nel mondo. Vieni, spazziamo il balcone, poi andremo a passeggiare sulle sponde del Gange’. Andai a cercare una scopa” (Autobiografia di uno yogi).
Il ragazzo, che, appena uscito da un’estasi così profonda e significativa e ricca, va a provvedersi di una scopa per spazzare il balcone ben simboleggia quella sintesi di contemplazione e di prassi che sola rende una spiritualità completa ad ogni livello.
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