Georges Ivanovič Gurdjieff (Alexandropol, 13 gennaio 1872 – Neuilly, 29 ottobre 1949) è stato un filosofo, scrittore, mistico e “maestro di danze” armeno. L’eredità lasciataci da questo grande maestro è tra le più preziose a cui possiamo far riferimento e, mai come oggi, il suo insegnamento si dimostra appropriato e necessario per contrastare l’inconsapevolezza e l’intorpidimento tipici dell’uomo moderno. Gurdjieff sosteneva che oggi l’uomo non è più in grado di funzionare armoniosamente né tanto meno di comprendere il suo funzionamento. Lo studio di Gurdjieff contemplava domande di natura esistenziale cercando di definire lo scopo della vita, in particolare quella dell’essere umano. Dopo diversi anni di ricerche e di pratiche, decise di presentare quanto aveva appreso in una forma oggettiva e comprensibile per il mondo occidentale sintetizzandola in un metodo capace di produrre un livello superiore di vitalità e consapevolezza.
Il suo programma prevede il raggiungimento di uno stato di equilibrio che coinvolge simultaneamente tutti i centri preposti all’interpretazione del “mondo” con cui ci relazioniamo. Il suo insegnamento integra l’essenza di diverse tradizioni religiose in un sistema di tecniche psicofisiche che conduce al superamento degli automatismi psicologici ed esistenziali che rendono l’essere umano medio simile ad una macchina, automatismi normalmente alimentati da una moltitudine di influenze esterne. Gurdjieff ci rivela così come realizzare i potenziali di un individuo grazie al “lavoro su di sé” ed era solito esprimere i suoi insegnamenti in tre forme: scritti, musica e movimenti, corrispondenti ai nostri centri intellettuale, emozionale e fisico.
Per descrivere il suo metodo distinse le strade per lo sviluppo interiore già conosciute:
- La prima via, la “Via del Fachiro”, basata principalmente su un lavoro sul corpo.
- La seconda, la “Via del Monaco”, basata principalmente su un lavoro sul sentimento.
- La terza, la “Via dello Yogi”, basata principalmente su un lavoro sulla mente.
Secondo Gurdjieff, le “vie” tradizionali risultano inadatte alla vita dell’uomo occidentale, in quanto per essere efficaci richiedono l’abbandono della vita ordinaria per dedicarsi interamente ad esse. Intraprenderne una, o più di una, rispettandone la tradizione porterebbe forse a qualche risultato ma in un tempo piuttosto lungo e comunque favorendo uno sviluppo disarmonico di quei centri (intellettuale, emozionale, fisico) che dovrebbero lavorare in sinergia.
Il concetto di Quarta Via introdotto da Gurdjieff, detta anche la “Via dell’uomo astuto”, lavora invece sull’armonizzazione dell’uomo in tutte le sue parti costituenti permettendogli di poter continuare la propria vita quotidiana normalmente. Questa “via” implica la comprensione di un “Sapere” antichissimo, tramandato esclusivamente oralmente e per pratica diretta, con il quale l’uomo può risvegliarsi dal suo torpore, iniziare a conoscere se stesso e decidere finalmente di “Essere” in conformità a quanto imparato.
Ma come si pone il pensiero di Gurdjieff riguardo all’evoluzione umana? Benché il suo insegnamento sia già di per se un potente catalizzatore per l’evoluzione del singolo, il filosofo non considera questa eventualità una cosa semplice da conseguire, anzi ritiene che l’evoluzione collettiva sia strettamente collegata ai moti planetari come conseguenza della relatività che caratterizza tutto l’universo, quindi intrinsecamente lenta e possibile solo in particolari condizioni di “maturità”.
Quella che segue è una sintesi tratta dal libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto di P.D. Ouspensky, un discepolo del grande maestro:
Qualcuno domandò durante una riunione: “Come si deve comprendere l’evoluzione?”.
“L’evoluzione dell’uomo, rispose G., può essere considerata come
l’evolversi in lui di quelle facoltà e di quei poteri che non si sviluppano
mai da soli, ossia meccanicamente. Solo questo tipo di sviluppo,
solo questo tipo di crescita caratterizza la vera evoluzione dell’uomo.
Non c’è e non può esserci alcun altro tipo di evoluzione.
“Consideriamo l’uomo nella fase attuale del suo sviluppo: la natura
lo ha fatto così com’è, e, preso collettivamente, da quanto si può vedere,
rimarrà tale e quale. I cambiamenti che potrebbero violare le
generali esigenze della natura non possono prodursi che per singoli
individui.”Per comprendere la legge dell’evoluzione dell’uomo è necessario
capire che, oltre un certo grado, questa evoluzione non è per nulla
necessaria, ossia non è necessaria alla natura in nessun momento del
proprio sviluppo. Per parlare con maggiore precisione, l’evoluzione dell’umanità
corrisponde all’evoluzione dei pianeti, ma il processo evolutivo
dei pianeti si svolge secondo cicli di tempo per noi infinitamente
lunghi. Nello spazio di tempo che può essere abbracciato dal pensiero
umano, nessun cambiamento essenziale può verificarsi nella vita dei
pianeti, e di conseguenza nessun cambiamento essenziale può verificarsi
nella vita dell’umanità.
“L’umanità non progredisce e neppure evolve. Ciò che ci sembra
essere progresso o evoluzione non è che una parziale modificazione che
può essere immediatamente controbilanciata da una corrispondente
modificazione nella direzione opposta.
“L’umanità, come il resto della vita organica, esiste sulla terra per
le necessità e gli scopi propri alla terra. Ed essa è esattamente ciò che
deve essere per rispondere ai bisogni della terra al momento attuale.
“Solo un pensiero così teorico e così separato dai fatti quale il pensiero
europeo moderno, poteva concepire che un’evoluzione dell’uomo
fosse possibile indipendentemente dalla natura che lo circonda, oppure
considerare l’evoluzione dell’uomo come una graduale conquista della
natura. Questo è assolutamente impossibile. Che egli viva, muoia, evolva
o degeneri, l’uomo serve egualmente le finalità della natura o, piuttosto,
la natura si serve allo stesso modo, sebbene forse per differenti
scopi, dei prodotti sia dell’evoluzione che della degenerazione. L’umanità,
considerata come un tutto, non può mai sfuggire alla natura,
poiché l’uomo agisce in conformità agli scopi della natura, anche quando
lotta contro di essa. L’evoluzione di grandi masse umane è opposta
alle finalità della natura, mentre quella di una piccola percentuale di
uomini può essere in accordo con tali finalità. L’uomo contiene in se
stesso la possibilità della propria evoluzione, ma l’evoluzione dell’umanità
nel suo insieme, cioè lo sviluppo di questa possibilità in tutti, gli
uomini o nella maggior parte di essi, o anche in un grande numero,
non è necessaria ai disegni della terra o del mondo planetario in generale:
questo anzi potrebbe essere pregiudizievole o persino fatale all’umanità.
Vi sono di conseguenza speciali forze, di carattere planetario,
che si oppongono all’evoluzione di grandi masse umane e che le
mantengono al livello in cui esse devono restare.
[…] “Ma, allo stesso tempo, le possibilità di evoluzione esistono e possono
essere sviluppate in individui distinti, con l’aiuto di conoscenze
e metodi appropriati. Tale sviluppo può soltanto avere luogo nell’interesse
dell’uomo, in opposizione alle forze e, si potrebbe dire, agli interessi
del mondo planetario. Una cosa l’uomo deve ben comprendere:
la sua evoluzione non è necessaria che a lui. Nessun altro vi è interessato,
ed egli non deve contare sull’aiuto di nessuno; infatti, nessuno
è tenuto ad aiutarlo e neppure ne ha l’intenzione. Al contrario, le forze
che si oppongono all’evoluzione di grandi masse umane, si oppongono
anche all’evoluzione del singolo. Spetta a ciascuno di eluderle. E se un
uomo può sottrarsi ad esse, l’umanità non lo può. Comprenderete più
tardi come questi ostacoli siano utili; se non esistessero bisognerebbe
crearli intenzionalmente, poiché soltanto vincendo degli ostacoli l’uomo
può sviluppare in sé le qualità di cui ha bisogno.
“Queste sono le basi per una visione corretta dell’evoluzione umana.
Non esiste evoluzione obbligatoria, meccanica. L’evoluzione è il risultato
di una lotta cosciente. La natura non ha bisogno di tale evoluzione;
anzi non la vuole e la combatte. L’evoluzione può essere necessaria
soltanto a colui che si renda conto della sua situazione e della possibilità
di cambiarla, e si renda conto che ha dei poteri che non usa e
delle ricchezze che non vede. Ed è nel senso della presa di possesso
di questi poteri e di queste ricchezze che l’evoluzione è possibile; ma
se tutti gli uomini o la maggior parte di essi comprendessero questo
e desiderassero di ottenere quello che loro spetta per diritto di nascita,
l’evoluzione, lo ripeto, diverrebbe impossibile. Ciò che è possibile
per il singolo è impossibile per le masse.
“L’individuo ha il vantaggio di essere molto piccolo e di conseguenza
di non contare nell’economia generale della natura, dove non
fa nessuna differenza che ci sia un uomo meccanico in più o in meno.
Possiamo farci un’idea di questo rapporto di grandezze se immaginiamo
il rapporto esistente tra una cellula microscopica e il nostro corpo
intero. La presenza o l’assenza di una cellula non cambia niente nella
vita del corpo. Noi non possiamo esserne coscienti e questo non può
avere influenza sulla vita e le funzioni dell’organismo. Esattamente
nello stesso modo un individuo distinto è troppo piccolo per influenzare
la vita dell’organismo cosmico, con il quale egli si trova (per
quanto riguarda le dimensioni) nello stesso rapporto che una cellula
ha con il nostro intero organismo; ed è questo precisamente ciò che
rende la sua ‘evoluzione’ possibile, ciò su cui si basano le sue ‘possibilità’.
“Riguardo all’evoluzione è indispensabile comprendere fin dall’inizio,
che non esiste la possibilità di una evoluzione meccanica. L’evoluzione
dell’uomo è l’evoluzione della sua coscienza. E la ‘coscienza’ non può
evolvere inconsciamente. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione della
sua volontà, e la Volontà’ non può evolversi involontariamente. L’evoluzione
dell’uomo è l’evoluzione del suo potere di fare, e ‘fare’ non
può essere il risultato di ciò che ‘accade’.
“La gente non sa che cosa è l’uomo. Si trova alle prese con una
macchina molto complicata, molto più complicata di una locomotiva,
di un’auto o di un aereo, ma non sa nulla o quasi nulla della struttura,
della marcia e delle possibilità di questa macchina; non capisce neppure
le sue più semplici funzioni perché non conosce lo scopo di queste
funzioni. Immagina vagamente che un uomo dovrebbe imparare a
guidare la sua macchina, come deve imparare a guidare una locomotiva,
un’auto o un aereo, e che una manovra incompetente della macchina
umana, è altrettanto pericolosa di una manovra incompetente di qualsiasi
altra macchina. Tutti se ne rendono conto quando si tratta di un
aereo, di un’auto o di una locomotiva. Ma è molto raro che si prenda
la cosa in considerazione quando si tratta dell’uomo in generale o di
se stessi in particolare. Si crede giusto e legittimo pensare che la natura
abbia dato all’uomo la conoscenza necessaria della propria macchina;
tuttavia si converrà che una conoscenza istintiva di questa macchina
è lungi dall’essere sufficiente. Perché gli uomini studiano la medicina
e ricorrono ai suoi servizi? Evidentemente perché si rendono
conto di non conoscere la propria macchina. Ma non sospettano che
potrebbero conoscerla molto meglio di quanto fa la scienza e che potrebbero
allora ottenerne un lavoro completamente differente”.
Molto sovente, quasi ad ogni riunione, G. ritornava sull’assenza di
unità nell’uomo.
“Uno dei più gravi errori dell’uomo, diceva, quello che deve essergli
costantemente ricordato, è la sua illusione riguardo al suo ‘Io’.
“L’uomo così come lo conosciamo, l’uomo macchina, l’uomo che non
può ‘fare’, per il quale e attraverso il quale ‘tutto accade’ non può
avere un ‘Io’ permanente ed unico. Il suo ‘io’ cambia velocemente
come i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi umori, ed egli commette
un errore profondo quando si considera come se fosse sempre una sola
e stessa persona; in realtà egli è sempre una persona differente; non è
mai quello che era un momento prima.
“L’uomo non ha un ‘Io’ permanente ed immutabile. Ogni pensiero,
ogni umore, ogni desiderio, ogni sensazione dice ‘Io’. E ogni volta
sembra doversi ritenere certo che questo ‘io’ appartiene alla Totalità
dell’uomo, all’uomo intero, e che un pensiero, un desiderio, un’avversione
sono l’espressione di questa Totalità. In realtà nessuna prova può
essere portata per convalidare questa affermazione. Ogni pensiero dell’uomo,
ognuno dei suoi desideri si manifesta e vive” in un modo completamente
indipendente e separato dalla sua Totalità. E la Totalità
dell’uomo non si esprime mai, per la semplice ragione che non esiste
come tale, salvo che fisicamente come una cosa, ed astrattamente come
un concetto. L’uomo non ha un ‘Io’ individuale. Al suo posto vi sono
centinaia e migliaia di piccoli ‘io’ separati che il più delle volte si ignorano,
non hanno alcuna relazione, o, al contrario, sono ostili gli uni
agli altri, esclusivi ed incompatibili. Ad ogni attimo, ad ogni momento,
l’uomo dice o pensa ‘Io’. Ed ogni volta il suo ‘io’ è differente. Un
attimo fa era un pensiero, ora è un desiderio, poi una sensazione, poi
un altro pensiero e così via, senza fine. L’uomo è una pluralità. Il nome
dell’uomo è legione.
“L’alternarsi di questi ‘io’, le loro lotte manifeste, di ogni istante,
per la supremazia, sono comandate dalle influenze esteriori accidentali.
Il calore, il sole, il bel tempo richiamano subito tutto un gruppo
di ‘io’. Il freddo, la pioggia, la nebbia richiamano un altro gruppo di
‘io’, altre associazioni, altri sentimenti, altre azioni. E non c’è niente
nell’uomo che sia in grado di controllare i cambiamenti di questi ‘io’,
principalmente perché l’uomo non li nota, o non, ne ha alcuna idea;
egli vive sempre nell’ultimo ‘io’. Alcuni, naturalmente, sono più forti
degli altri, ma non della loro propria forza cosciente. Essi sono stati
creati dalla forza degli avvenimenti o dagli stimoli meccanici esterni.
L’imitazione, l’educazione, la lettura, l’ipnotismo della religione, delle
caste e delle tradizioni, o la seduzione degli ultimi slogans, danno
origine nella personalità dell’uomo a degli ‘io’ molto forti che dominano
intere serie di altri ‘io’ più deboli. Ma la loro forza non è che
quella dei rulli * nei centri. E tutti questi ‘io’ che costituiscono la personalità
dell’uomo hanno la stessa origine delle incisioni sui rulli: sia
gli uni che gli altri sono i risultati delle influenze esteriori e sono
messi in movimento e comandati dalle influenze del momento.
“L’uomo non ha individualità. Non ha un grande ‘Io’ unico. L’uomo
è diviso in una moltitudine di piccoli ‘io’.
“Ed ogni piccolo ‘io’ separato è capace di chiamare se stesso col
nome della Totalità, di agire in nome della Totalità, di fare delle promesse,
prendere delle decisioni, essere d’accordo o non essere d’accordo
con quello che un altro ‘io’, o la Totalità dovrebbe fare. Questo spiega
perché la gente prende così spesso delle decisioni e le mantiene così
raramente. Un uomo decide di alzarsi presto, cominciando dall’indomani.
Un ‘io’, o un gruppo di ‘io’, prende questa decisione. Ma l’alzarsi
è una cosa che riguarda un altro ‘io’, che non è affatto d’accordo,
e che può persino non essere stato messo al corrente della cosa. Naturalmente
quest’uomo continuerà a dormire il mattino seguente e la
sera deciderà di nuovo di alzarsi presto. In certi casi questo può comportare
conseguenze molto spiacevoli. Un piccolo ‘io’ accidentale può,
a un certo momento, fare una promessa, non a se stesso, ma a qualcun
altro, semplicemente per vanità o per divertimento. Poi scompare, ma
l’uomo, ossia l’insieme degli altri ‘io’ che sono assolutamente innocenti,
dovrà forse pagare tutta la vita per questo scherzo. È la tragedia
dell’essere umano, che qualunque piccolo ‘io’ abbia così il potere di
firmare assegni e cambiali e che sia in seguito l’uomo, ossia la totalità,
che debba farvi fronte. Vite intere trascorrono così, per regolare dei
debiti contratti da piccoli ‘io’ accidentali.
“Gli insegnamenti orientali contengono varie immagini allegoriche
che cercano di ritrarre la natura dell’essere umano da questo punto di
vista.
“Secondo uno di essi, l’uomo è paragonato a una casa senza Padrone
né sovrintendente, occupata da una moltitudine di servitori che hanno
interamente dimenticato i loro doveri: nessuno vuole fare ciò che deve;
ognuno cerca di essere il padrone, non fosse che per un momento, e,
in questa specie di anarchia, la casa è minacciata dai più gravi pericoli.
La sola speranza di salvezza è che un gruppo di servitori più sensati
si riuniscano ed eleggano un sovrintendente temporaneo, cioè un sovrintendente
delegato. Questo sovrintendente delegato può allora mettere
gli altri servitori al loro posto, e costringere ognuno a fare il proprio
lavoro: la cuoca in cucina, il cocchiere nella scuderia, il giardiniere in
giardino, e così via. In questo modo, la ‘casa’ può essere pronta per
l’arrivo del vero sovrintendente, il quale a sua volta preparerà l’arrivo
del vero Padrone.
“Il paragone dell’uomo con una casa che aspetta l’arrivo del padrone
è frequente negli insegnamenti orientali che hanno conservato tracce
dell’antica conoscenza e, come sapete, questa idea appare sotto varie
forme, anche in molte parabole dei Vangeli.
“Ma anche se l’uomo comprendesse nel modo più chiaro le sue possibilità,
questo non lo farebbe progredire di un solo passo verso la
loro realizzazione. Per essere in grado di realizzare queste possibilità,
deve avere un desiderio di liberazione molto forte, deve essere pronto
a sacrificare tutto, a rischiare tutto per la propria liberazione”.
* I rulli (fonografici) sono descritti nell’Evoluzione inferiore dell’uomo come gli
apparecchi di registrazione di ogni centro sui quali vengono ad incidersi le impressioni.
L’insieme delle incisioni di questi rulli, analoghi a rulli (o dischi) di grammofono,
costituisce il materiale di associazione di un uomo.
“Esistono menti che si interrogano, che desiderano la verità del cuore, la cercano, si sforzano di risolvere i problemi generati dalla vita, cercano di penetrare l’essenza delle cose e dei fenomeni, e di penetrare in loro stesse. Se un uomo ragiona e pensa bene, non ha importanza quale cammino egli segua per risolvere questi problemi, deve inevitabilmente ritornare a se stesso, ed incominciare dalla soluzione del problema di che cosa egli stesso sia e di quale sia il suo posto nel mondo attorno a lui.”
G. I. Gurdjeff
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